Valery ci riprova



Niente da fare, il Mahler di Gergiev non riesce a convincerci fino in fondo. Sarà per quel contrasto, che appare davvero impietoso, fra le copertine sfolgoranti del ciclo londinese e la resa, tutt'altro che brillante, di certi passaggi cruciali del lungo viaggio mahleriano; sarà per la contemporanea uscita, molto più in sordina, dell'ottima integrale di Nott a Bamberga (più viva e vera, per riesumare una dittologia antica), fatto sta che il grande Valery (che grande è e lo rimane, soprattutto nella musica russa) è partito con un mezzo piede sbagliato e risollevarsi, per un mastodonte come lui, non è affar semplice. Non sembra che ci stia riuscendo nemmeno ora, a Monaco, con un'orchestra che più "mittel" non si può, e che già fu di Kempe, Celibidache, Levine, Thielemann, Maazel. Oddio, mahleriani i bavaresi non lo sono mai stati, tranne forse nel lustro di Jimmy Levine, ma era pur lecito attendersi qualcosa di più da questa Resurrezione (che linkiamo) e dalla Quarta, appena uscite -a peso d'oro- per l'etichetta di proprietà dell'orchestra. La Quarta, poi, da sempre la consideriamo la sinfonia più deliziosa del Nostro, che ci accompagna morbidamente attraverso il limine fra due secoli (fu composta tra il 1899 e il 1901). E insomma, il buon Valery non può fare a meno di apparirci un Caronte troppo rigido e legnoso, impacciato mentre si curva sul remo e incapace di compenetrare l'altrui sofferenza. Seononché Mahler, ostico e superbo egli stesso, pretende un'umiltà che forse non rientra nel novero delle principali doti di Gergiev, un Farinata dall'accento slavo, ritto e orgoglioso sul sepolcro infocato.  









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