C'era una volta l'America...



Per quanto ci si sforzi di cercare, difficilmente si potrà trovare una "Dal nuovo mondo" di  Antonin Dvořak più sentita di quella registrata nel 1991 da Sergiu Ceilibidache con i Muencher Philharmoniker. 

Il direttore fa il suo solenne ingresso nella sala, fatica a camminare e i membri della sua ultima grande orchestra lo osservano in un misto di riverenza e timore. 

Il più machiavellico e zen dei grandi maestri, quello secondo cui ogni mezzo è giustificato dal supremo fine della resa musicale, avanza fra gli strumentisti per sedersi composto sul podio e da lì far fiorire -con la sacrale lentezza e il respiro che lo contraddistinguevano negli ultimi anni- un grande capolavoro. 

Più ancora di Kubelik, più ancora di Ancerl, più ancora del patinato Karajan e dell'appassionato Kertész. 

Siamo agli sgoccioli dell'Ottocento, giorni ricchi di aspettative destinate a infrangersi nel fuoco delle armi, e il compositore praghese si trova a New York. 

Dalla sua penna, in quelle lande, prese vita un miracolo: si consumarono le migliori nozze possibili fra la tradizione sinfonica mitteleuropea, le atmosfere selvagge dei canti dei nativi e quelle sognanti dello spiritual afroamericano. 

La sinfonia, inizialmente uscita con il numero di catalogo 5 (si trovano ancora vecchi vinili che così la riportano, occhio alle confusioni), fu catalogata come Nona solo dopo un paziente lavoro filologico. 






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